Libertà della scuola

«Il Mondo europeo», Roma-Firenze, a. I, n. 4, 1° aprile 1947, p. 6.

LIBERTÀ DELLA SCUOLA

Quanti equivoci e quanti particolari significati si celino sotto le parole generali e «maiuscole» non è certo ignoto ad un popolo che ha conosciuto morte e rovina sotto l’insegna di «parole» e di miti; e non sarà scetticismo ricordare come tradizionalmente la parola libertà può essere servita persino alla testata del Volkischer Beobachter o al nome di molti partiti reazionari. Ed il compito degli intellettuali che militano nel campo della democrazia piú risoluta e concreta è proprio quello di portare – quasi con una decisione illuministica – la maggiore chiarezza possibile nel desiderio conformistico delle masse, di opporre una spregiudicata attenzione ai ben diversi motivi che passano sotto la bandiera delle “parole”, di aiutare l’opinione pubblica a conoscere i problemi nei loro veri termini. Tanto piú in un momento delicatissimo della nostra storia quando proprio di fronte all’elaborazione di una nuova Costituzione noi sentiamo il pericolo di una confusione mortale e di uno sfruttamento, a scopi precisi, di una sazietà e di una precoce stanchezza che non fa certo onore a certi strati della popolazione italiana.

Ora, fra i problemi che devono essere conosciuti e su cui si deve formare una chiara opinione fra gli italiani circa la vera ubicazione della libertà, è quello della scuola di cui, viceversa, proprio quei genitori che certe dottrine investono addirittura della prima autorità e della massima competenza in fatto di educazione, mostrano di preoccuparsi cosí poco (e proprio per un lungo processo a cui contribuirono largamente quelle dottrine che tanto in alto li pongono), inclini semmai a vedere il lato piú bassamente utilitario di una via facile e rapida per la sistemazione dei loro figli.

I democristiani sono per la piú assoluta libertà d’insegnamento e propongono, almeno, un contributo statale alle scuole private perché chi vuole scegliere queste invece di quelle pubbliche possa farlo a parità: piú avanti, come programma massimo (si vedano tutti i testi autorizzati in questo senso e ad esempio il lavoro del gesuita Barbera sulla «Civiltà Cattolica» del 1919), essi aspirano alla completa parità delle scuole private, alla riduzione dell’esame di Stato, all’intervento di commissari in una commissione giudicatrice interna. I partiti non confessionali oppongono che la libertà d’insegnamento non deve implicare affatto un’effettiva svalutazione della scuola statale, un’estensione delle parificazioni, un contributo dello Stato alle scuole private ed una riduzione della effettiva portata dell’esame di Stato e del controllo che lo Stato deve avere sull’educazione e l’istruzione. Ecco come il problema attuale si imposta ed ecco un esempio di come la «parola» può operare in senso tutto contrario allo spirito che dovrebbe animarla.

Anzitutto, fuori di ogni volontà faziosa e di un possibile anticlericalismo che proprio gli intellettuali di sinistra non accettano come partito preso o impostazione puramente podrecchiana, è lecito domandarsi perché la corrente cattolica, naturalmente ostile alle radici teoriche del liberalismo e degli atteggiamenti etico-politici basati sul pensiero immanentistico, e tradizionalmente fautrice di scuole pubbliche in mano alla Chiesa (basti pensare all’organizzazione scolastica degli Stati italiani fino all’unificazione ed alla legge Casati per il Piemonte), divenne poi cosí zelante sostenitrice di quella libertà d’insegnamento che potrebbe, secondo le parole del P. Barbera, permettere l’insegnamento dell’«errore», mentre «soltanto alla verità appartiene il diritto di comparire nell’insegnamento». Perché la tesi della libertà d’insegnamento non fu mai sostenuta dove le scuole pubbliche furono direttamente sotto il controllo ecclesiastico? Non è per amore della libertà che il capitalista difende la libera concorrenza fino al momento in cui, attraverso la gara, avrà imposto il suo particolare monopolio.

È questo monopolio, è questo predominio (che attraverso una concorrenza di scuole appoggiate a potenti ordini religiosi, specializzate per il piú facile conseguimento possibile di diplomi attraverso l’esame di Stato ridotto, e sovvenzionate per di piú dallo Stato, la corrente confessionale otterrebbe) che noi vogliamo lealmente combattere non nel nome, ma nello spirito della concreta libertà di formazione dei giovani, ben sapendo che secondo quanto dice nel suo recente lavoro sulla Scuola e la Costituente (Modena, 1946) Ferdinando Bernini, l’attuale sottosegretario all’istruzione: i cattolici se ottenessero la ripartizione scolastica «avrebbero vinto in pieno la battaglia». Noi non pensiamo che occorra sbandierare, con gli equivoci che anche esso comporta, il laicismo troppo spesso confuso con precise posizioni ideali e filosofiche (e ad ogni modo non è stato il democristiano francese Schumann che ha risolutamente adoperato la parola «laïque» per la repubblica del suo paese?), ma non vogliamo neppure che per falsi tatticismi si rinforzino privilegi e possibilità che vengono praticamente a porre in inferiorità proprio coloro che della libertà e della democrazia hanno una concezione ed una pratica tutta coerente. Non vogliamo qui discutere, perché il discorso verrebbe assai lungo, come il Concordato del ’29 porti con sé già una piattaforma che ora verrebbe tanto meglio utilizzata nel campo scolastico integrando i vantaggi ottenuti nei rapporti con uno stato totalitario con quelli derivanti dalla libertà d’insegnamento. Basti ricordare che nell’enciclica di Pio XI del dicembre ’29, riferendosi a precise parole del Concordato si dichiarava come ad ottenere che la religione sia «veramente fondamento e coronamento di tutta l’istruzione» occorre che tutto l’insegnamento e tutto l’ordinamento delle scuole, libri, insegnanti, programmi in ogni disciplina siano governati dallo spirito cristiano sotto la direzione e vigilanza della Chiesa.

Per questo e per molte altre ragioni che si rivolgono al netto giudizio di quella scuola privata di pura speculazione che riduce educazione ed istruzione a praticistica ed affannosa preparazione agli esami e abbassa il livello degli alunni e degli insegnanti, coloro che anche se cattolici amano mantenere la scuola sul suo piano piú alto e nella sua maggiore libertà formativa, senza retoriche e settarie esplosioni, in una democratica lotta ravvicinata insisteranno affinché «la scuola di tutti», libera da ogni spirito di parte, e animata soprattutto dal senso dei «valori», venga convenientemente tutelata nella nuova Costituzione italiana. A proposito dei cui articoli sulla scuola (27 e 28) si potrebbe anche osservare che per preoccupazioni particolari si sono precisate delle norme che meglio sarebbero sviluppabili in sede di legislazione ordinaria.

In ogni caso rendendo vive le istanze di quel concreto liberalismo risorgimentale che su questo piano aveva saputo vedere il pericolo (e ancora quanto attuale!) di una generica libertà «delle scuole», i democratici conseguenti che alla Costituzione sentono la responsabilità di decisioni essenziali per la vita del popolo che rappresentano, difenderanno la scuola pubblica, la possibilità di una formazione libera dei giovani, accanto alla quale le affermazioni delle scuole confessionali non debbano ad ogni modo usufruire del contributo statale. Libertà d’insegnamento, ma soprattutto libertà in una scuola statale che meglio può tutelare l’apertura dell’animo giovanile, il suo sviluppo autonomo e vivacemente dialettico. Perché è di anime aperte, di uomini cresciuti fuori di un solo modello comunque dogmatico che la nostra nazione ha bisogno. E se questi uomini persevereranno liberamente una fede religiosa o etico-politica, la loro formazione libera toglierà sempre alla loro lotta l’accento del fanatismo settario che deforma ogni piú alta espressione umana.